di Stefano Stefanel

Anche le Olimpiadi invernali di Pechino hanno confermato la correttezza e la competenza sportiva che sta alla base delle scelte del CONI e delle Federazioni invernali. La tendenza, già vista chiaramente a Tokyo, si è addirittura ampliata con la manifestazione invernale. Ci sono alcuni segnali molto interessanti per il mondo sportivo, che sono emersi dal grande spettacolo sportivo in terra cinese. E tutti i segnali dicono che ormai i soldi e le possibilità ci sono solo per lo sport agonistico di vertice, mentre quello di base rimane sempre più legato all’impiantistica sportiva e ai costi di gestione. Il dato più evidente è quello che vede contestualmente l’aumento dei costi dell’attività sportiva agonistica con un ulteriore aumento del tempo che i volontari devonio dedicarvi.

Il programma dell’Olimpiade invernale è stato improntato al gigantismo e alla distribuzione di molte medaglie anche in discipline sportive di bassa o nessuna presa popolare. Curling, short track, biathlon, combinata nordica, snowbord nelle sue varie interpretazioni, pattinaggio di velocità, skeleton e altro che qui non enumero vengono praticati da pochissimi atleti nel mondo e hanno una modestissima base agonistica generale. Gli impianti sono pochi, le attrezzature costose, le gare dislocate in luoghi spesso lontani dalla propria abitazione. Le molte medaglie vinte da alcuni atleti in discipline diverse dicono anche che le discipline non sono poi così diverse, ma sono semplicemente una graduazioni diversificata dello stesso sport. Anche i team event o le gare miste sono un ottimo spettacolo, ma anche una disciplina sportiva impossibile da praticare a livello medio o basso, dove avere in squadra atleti di sesso diverso e medesimo livello è veramente proibitivo. Alcune discipline poi si praticano solo alle Olimpiadi o ai Campionati dl Mondo perché non hanno circuito di alcun genere. Negli sport del ghiaccio e della neve il rapporto tra gruppi sportivi militari, società locali e indotto turistico si fonde in zone piuttosto contigue non togliendo praticamente mai gli atleti dal proprio territorio.

Fatto salvo il bacino giovanile necessario a trovare i migliori atleti da arruolare il resto è un gioco di posizione legato a tutto quello che serve allo sport professionistico che però non ha i mezzi per esserlo. Spenta la fiamma olimpica di quegli sport si potrà trovare notizia in trafiletti delle pagine sportive o nei siti delle federazioni o dei club. Se facciamo attenzione all’immagine d’uscita, quello che resta più impresso è il medagliere delle Nazioni, dove la medaglia in discesa libera vale quanto quella in un’altra sconosciuta disciplina. L’essere sconosciuta non dice nulla sulla qualità e bellezza della disciplina, ma molto sulle risorse disponibili, sugli impianti necessari, sugli staff da finanziare, sulle trasferte da pagare e via di seguito. Dopo queste Olimpiadi la frase: “lo sport italiano è in piena salute” va sostituita con l’altra frase: “lo sport agonistico di vertice italiano è in buona salute.

L’oggettivo impoverimento dello sport di base al di sopra dei 15 anni non può più interessare i vertici federali o del Coni, che hanno perfettamente compreso che ci devono essere scelte drastiche per tutto quello che non è professionismo di vertice autofinanziato da sponsor, diritti televisivi, royalties di vario genere. E, dunque, appare ancora più evidente che la strada dallo sport giovanile a quello di vertice passa per i gruppi sportivi militari o per il professionismo. Il resto deve autofinanziarsi ed estinguersi con regolarità e senza clamore. Tra l’altro lo sport agonistico di base non ha molta voce e quindi accetta passivamente il suo impoverimento e gli anni che passano senza che la tendenza inizi neppure minimamente ad invertirsi. Sembra quasi che lo sport di base abbia perso la voce ed attenda gli eventi, rassegnato a perdere intere stagioni o a vederle ridotte dentro spazi residuali.

In tutto questo le due vicende che hanno tenuto maggior banco non sono state le due vittorie olimpiche nel curling e nello short track, ma le polemiche feroci tra Arianna Fontana e la Federazione Ghiaccio e tra Sofia Goggia e Federica Brignone (per “mano” di Maria Rosa Quario, ex atleta della valanga rosa e madre della Brignone e del suo tecnico, pur sconfessata dai figli). Per l’opinione pubblica è stato tutto molto divertente e incomprensibile, con grandi campionesse che polemizzano, minimizzano, attaccano, glissano. Dopo una giornata i commenti sulle imprese sportive sono stati archiviati nel medagliere e sono rimaste le polemiche che hanno preso molto spazio sui media e sui social perché fatte sotto i riflettori delle Olimpiadi. E questo sia le protagoniste delle polemiche, sia le federazioni lo sanno bene: se non si sfrutta la finestra olimpica per parlare all’opinione pubblica poi nessuno ti ascolta. In gioco in quelle dichiarazioni ci sono alcuni anni (i prossimi quattro) e molti soldi. Molti per lo sport minore che non ne ha di propri per reggere i costi sempre in crescita. Questi costi riguardano i premi per le vittorie, il pagamento degli staff, la logistica, le trasferte, il ruolo dei propri tecnici nella programmazione. Cioè tutto quello che non compare al momento della gara sportiva, ma che deve venir pagato quotidianamente dalle Federazioni, perché altri soggetti che pagano non ci sono. Gli sport “minori” (e quasi tutti quelli dello sport invernale lo sono) costano molto e richiedono un professionismo meticoloso per emergere.

Nel caso, poi di Goggia-Brignone, nessuno altro atleta o dirigente federale ha preso posizione sul dualismo, così come a suo tempo nessuno ebbe niente da dire quanto Alberto Tomba fu gestito per vari anni fuori dalla squadra nazionale con uno staff personale. Dire che il dualismo Goggia-Brignone abbia fatto crescere le altre ottime atlete della squadra (Bassino, Delago, Curtoni, ecc.) è fare un salto tecnico azzardato, dire che nell’ambiente uno scontro tra due grandi atlete italiane interessi più di vittorie contro immusonite austriache o svizzere è molto meno azzardato. L’impresa della Goggia è stata così straordinario da oscurare le medaglie della bravissima Brignone, così qualcuno ha pensato che era meglio prendersi un po’ di ribalta in più, a futura memoria, quando comunque lo spazio di una vittoria in Coppa del mondo o nel Campionato Mondiale dura lo spazio di un gol.

Posizionamenti e ricatti se lo possono permettere pochi atleti, dentro sport con pochi impianti costosissimi e non finanziabili se non in perdita: non ci sono spettatori, sponsor, indotti che siano in grado di pagare i faraonici programmi sportivi di discipline che, comunque, rimarranno sconosciute. Fenomeno già visto alle Olimpiadi estive ed ingigantitosi in quelle invernali.

In questo scenario lo spazio non è stretto, ma strettissimo. Non so neppure se esista un Campionato regionale di curling o di short track o di canoa fluviale (sport estivo praticato da pochissimi, ma che richiede bacini artificiali costosissimi). I moltissimi titoli assegnati non rafforzano gli sport minori, ma anzi ne indeboliscono l’impatto mediatico. I troppi titoli hanno fiaccato la popolarità di uno sport di largo impatto come il nuoto, dove tutti sanno chi è Federica Pellegrini, ma nessuno saprebbe enumerare a memoria con precisione che cosa ha vinto, quando e dove (mentre, ad esempio, tantissimi sanno chi è Livio Berruti e sanno benissimo cosa ha vinto: i 200 metri alle Olimpiadi di Roma di 62 anni fa). Il gigantismo e le molte medaglie europee, mondiali o olimpiche in sport troppo simili per essere premiati in modo diverso sono il viatico attraverso cui si tratta per il futuro, ma solo per un futuro personale. Agli atleti di vertice giustamente interessa molto poco lo sport di base (a meno che una volta finiti gli allori e le poche ribalte olimpiche non intraprendano la strada del tecnico sociale dove tanto è il lavoro e poco il compenso), anche perché una forte spinta delle federazione a favore dello sport agonistico di base, come ai tempi del totocalcio miliardario, alla fine portava molte meno medaglie e molti meno atleti di vertice di quanto porti questo sport fatto solo da campioni (a cui non interessa moltissimo il successo nel campionato regionale, che dunque non ha senso più di esistere).

Bisognerà, prima o poi, che qualcuno che opera nello sport di base cominci a pensare se tutto questo abbia un vero senso e produca un vero vantaggio, ma credo che i tesserati di curling e dello short track o del Freestyle rimangano gli stessi qualunque sia il numero delle medaglie che arrivano alle Olimpiadi. Quindi forse bisogna ripensare lo sport agonistico al di sopra dei 15 anni e non lasciare che ci sia solo nel calcio, nella pallacanestro, nella pallavolo o nel ciclismo. Però credo sia necessario venga ripensato dai club privati che ci credono, visto che le Federazioni hanno altro a cui pensare e lo stanno pensando bene. Anche perché il tempo per alzare il prezzo viene solo per qualcuno per qualche giorno e una volta ogni quattro anni.