di Stefano Stefanel

Il problema principale del judo agonistico attuale penso sia l’enorme numero di sanzioni e di vittorie per sanzioni. Non ci sono molti altri sport dove il maggior numero degli incontri lo si vince per le sanzioni accumulate dall’avversario e non per azioni portate. Questo problema rende il judo difficile da guardare e capire e non attira tra i suoi spettatori neppure gli addetti ai lavori. E’ evidente che quando un incontro è vinto “alla Manuel Lombardo”, cioè con un ippon cristallino, non c’è nulla da dire. Come nulla da dire c’è davanti alla cavalcata di Fabio Basile a Rio 2016. Ma questi sono casi molto rari, perché la maggior parte degli incontri è pervaso di tatticismo e si vedono dei falsi attacchi premiati con il mulinello a chi non fa neppure quelli. Si possono creare scenografie e format ottimi, ma se chi guarda non è in grado di capire perché uno ha vinto non si va molto lontano.

Una situazione analoga è accaduta trent’anni fa: il Mondiale di Barcelona 1991 fu una gara con un judo impostato sul koka e la difesa, con molti trascinamenti, sanzioni date in modo arbitrario  e oggettivamente molto brutto da vedere. Poi ci sono stati alti e bassi e siamo arrivati all’attuale formula con tantissime vittorie per squalifica, un tatticismo fisico esasperato, molti trascinamenti lasciati correre, molte sanzioni affrettate o tardive. Tutto, comunque e purtroppo, con un tasso di spettacolarità molto basso e una concezione del waza ari che a volte cozza contro l’idea stessa di judo.

 

Forse è arrivato per il judo il momento di introdurre l’”osae komi di rigore”,  un correttivo all’attuale regolamentoche eviti di far vincere un incontro senza aver prodotto un’azione judoistica consistente, lasciando quindi le squalifiche ai casi eclatanti di antisportività. Si potrebbe prevedere che alla seconda sanzione l’arbitro assegni il “rigore”: chi ha subito la sanzione diventa uke e quindi viene preso da tori in On Kesa Gatame. Così come nel calcio il rigore si tira dai 16 metri centrali (e non da dove va bene al calciatore) e nel basket il “tiro libero” dalla lunetta (e non da dove va meglio al cestista) così anche in questo caso sarebbe bene dare una regola semplice e uguale per tutti. Ovviamente appena dato lo “yoshi” Tori potrebbe variare tecnica, ma senza interrompere l’osae komi. Se Tori tiene Uke in osae komi per 20” ha vinto, se Uke scappa prima si riprende l’incontro (se Tori ha fatto waza ari lo si segna).

Questo potrebbe avvenire anche alla fine del tempo normale, con un extra time di 1 minuto e poi i “rigori”: un osae komi per uno finché non si rompe la parità. E’ vero che in questo caso ci potrebbero essere lunghe serie di “rigori”, ma almeno sarebbero divertenti da vedere e sarebbero comunque judo. Il rigore non è l’essenza del calcio ma è sempre calcio; On Kesa Gatame non è l’essenza del judo ma è sempre judo (Anton Geesink ci ha vinto un’Olimpiade).

In palestra si comincerebbe studiare un po’ di più l’osae komi (magari con passaggi veloci da On Kesa Gatame a un’altra tecnica di controllo), i modi per controllare e i modi per scappare. Questo diminuirebbe la tendenza all’ostruzionismo, perché a nessuno piace essere messo sotto in On Kesa Gatame.

 

Altre strade per modificare l’attuale situazione agonistica portano ad altri tatticismi, anche perché c’è un numero molto alto di tecnici che non intende puntare sulla tecnica, ma punta solo sulla tattica. Se mi trovo davanti, ad esempio, ad un atleta che “scappa” dall’osaem komi e che non si fa scappare nessuno devo inventarmi qualcosa per buttarlo giù prima della fine del tempo e devo farlo con una tecnica di judo, non con una tattica o con finti attacchi.