di Stefano Stefanel

Le strane elezioni federali che si apprestano a movimentare questo inverno senza judo mi hanno riportato alla mente il ricordo di Matteo Pellicone, persona a cui ho voluto molto bene, ma che di bene ne ha voluto molto, anche lui, a me. Sono entrato nel Consiglio Federale della Filpj a seguito delle elezioni del 1992 e non mi sono candidato nelle elezioni del 2016: sono stato per 24 anni Consigliere Federale in piena sintonia con Matteo Pellicone. Credo di aver appreso un semplice insegnamento: una Federazione composita e complessa come la nostra, che non può contare su pubblico e sponsor, ha bisogno di una struttura di governo semplice, compatta, operativa, con ottimi rapporti personali all’interno e sempre di supporto al Presidente. Situazioni diverse da questa generano solo caos, non servono al governo degli sport federali e portano solo ad attriti. In qualità di rappresentante legale della Federazione il Presidente deve avere sempre il supporto tecnico del Consiglio e deve istituire con i Consiglieri un rapporto costante di scambio dentro un’organizzazione che ha mille necessità.

Prima di diventare Consigliere Federale nel 1992 avevo incontrato Matteo Pellicone di persona solo due volte. La prima volta è stata a Genova a ottobre, durante una gara. Libero Galimberti (allora Consigliere federale) mi ha portato da Pellicone e mi ha presentato, dicendogli che volevo candidarmi a Consigliere. Lui è stato molto gentile e mi ha fatto gli auguri. Tutto in piedi e in pochi secondi. La seconda volta, a pochi giorni dalle elezioni di dicembre, mi ha ricevuto insieme a Franco Capelletti e Libero Galimberti a viale Tiziano: si è parlato dell’assemblea e delle possibilità che io fossi eletto.

Le cose sono andate poi in maniera molto semplice per 24 anni. Dal 1992 al 2016 io e Franco Capelletti siamo sempre rimasti in Consiglio, mentre si sono avvicendati altri consiglieri modificando la costituzione del Consiglio nei vari quadrienni (Ezio Evangelisti, Franco Sieni, Aldo Nasti, Emanuela Pierantozzi, Antonio Di Maggio, Gaetano Minissale, Luigi Nasti, Giovanni Strazzeri), ma non la sua struttura di governo.

L’ultima volta che ho parlato direttamente con Matteo Pellicone è stato il 25 giugno del 2013. Sinceramente non mi sono accorto di nulla, anche perché il colloquio è durato abbastanza e ha riguardato vari problemi aperti. Ho saputo della gravità della sua malattia direttamente da lui, che mi ha telefonato a metà settembre dicendomi: “Stefano ho proprio un cancro.” Quando lui ha partecipato al Trofeo Città di Roma, benché già in terapia, io ero a Kyoto con Capelletti e Strazzeri per i Mondiali di Kata, quindi, purtroppo, non l’ho più rivisto. Però pochissimi giorni prima di morire e poco dopo le sue dimissioni l’ho sentito al telefono, passatomi dall’attuale Presidente Domenico Falcone. Mi ha detto solo due cose con una voce lontana e roca che tradiva una grande fatica: “Stefano ti voglio bene. Rimanete uniti.” Il primo punto del suo addio rimarrà per sempre, il secondo invece lo abbiamo fallito, come è sotto gli occhi di tutti.

 

°°°°°

 

Un detto dice che nella vita si nasce incendiari e si muore pompieri. Ovviamente dopo 24 anni in un organismo decisionale come è il Consiglio di una Federazione sportiva questo è ovvio: sono entrato in Consiglio a 36 anni con molte idee e molti capelli, sono uscito a 60 anni con molte idee e pochi capelli. Nei 24 anni sono successe molte cose e molte di queste, ovviamente, rimangono nella mia mente: sento però troppe le leggende che girano e tanti i ricordi alterati di quegli anni. Dentro di me sorrido, perché quegli anni li ho vissuti e dunque ne so qualcosa.

Il mio rapporto con Matteo Pellicone si è cementato da subito, grazie al supporto decisivo di Franco Capelletti. E certamente chi ha detto che c’era nel judo un “sistema di governo” che da Pellicone si sviluppava attraverso il Consiglio mi pare abbia colto correttamente un lato della storia. Senza un “sistema di governo” che funzioni un organismo complesso come la Fijlkam non è un grado di dare risultati. Partecipando a quel governo e quindi gli atti da esso emanati la condivisione di obiettivi tra me e Pellicone, alla fine, era diventata assoluta. Dentro questo “sistema di governo” c’era il mio rapporto con Pellicone, fatto di telefonate brevissime e senza divagazioni, tant’è che in più di una occasione conviviale Pellicone ebbe a dire: “Per forza vado d’accordo con Stefano, mi fa telefonate di un minuto!

Quando poi dovevamo ragionare su questioni complesse lo facevamo di solito nel suo ufficio o, spesso, subito dopo pranzo prima che riprendessi l’aereo, in una saletta al piano terra dell’edificio del ristorante del Centro Olimpico. Che cosa ci dicevamo è abbastanza chiaro, perché ci sono 24 anni di provvedimenti e decisioni che parlano da soli. Un paio di volte ci siamo invece appartati in sede di gara per lungo tempo e ricordo che ad un Assoluto a Torino siamo rimasti in alto sulle tribune per quasi due ore. Quando abbiamo finito di discutere di alcune questioni urgenti e delicate gli ho detto: “Adesso torno là sotto e vorranno sapere cosa ci siamo detti.” Lui mi ha sorriso: “Sì, ma io so che tu non lo farai. Non lo fai mai.” Questa è una delle cose che ho imparato da subito: non dire mai in giro quello che mi diceva Pellicone, non anticipare mai le decisioni del Consiglio e attendere che tutto venisse messo nero su bianco e poi fosse pubblicato. Perché molte cose venivano decise in Consiglio e poi perfezionate dopo.

 

°°°°°

 

Come è noto a molti solo nell’elezione del 1992 ho rischiato di non essere eletto (c’erano sette candidati per cinque posti), mentre nelle altre sei successive (1996, 2000, 2004, 2008, 2012, 2014), nel settore del Consiglio dove concorrevo io, c’erano tanti posti quanti candidati. Quindi tutto semplice e scontato? Meno di quanto possa sembrare. La questione della mia rielezione si svolgeva in questo modo: verso febbraio o marzo (di solito durante il Trofeo Città di Roma) mentre andavamo dal ristorante del Centro Olimpico al palazzetto comunicavo a Pellicone che sarei rimasto volentieri in Consiglio e lui mi ha sempre detto che era anche il suo pensiero. Così poi iniziavamo a pianificare la campagna elettorale attraverso la costruzione di un Consiglio del Presidente, unica struttura che può far funzionare una Federazione.

Posso dire ora che dopo 24 anni nel 2016 non ho avuto alcun dispiacere ad uscire dal Consiglio, anche se ovviamente qualche dispiacere mi è arrivato dopo, sia per la non gradita successiva “damnatio memoriae”, sia per alcune promesse svanite, sia per alcune figuracce evitabili. Però i 21 anni a fianco di Matteo Pellicone mi hanno fatto crescere come uomo e come sportivo.

Lui sapeva bene qual era il carico dei miei impegni: sia nel periodo in cui sono stato Sindaco, sia negli anni da Dirigente scolastico ha sempre avuto una grande cautela nel chiedermi impegni ulteriori oltre a quelli già programmati. Quando voleva che andassi da qualche parte o in sua rappresentanza o come capo delegazione aveva sempre la grande cautela di telefonarmi prima, soprattutto quando avrei dovuto andare all’estero e quindi sarebbe stato necessario stare fuori da casa molti giorni. Era un rapporto molto intenso quello tra me e Pellicone, che aveva nella sintesi e nel decisionismo il suo punto di equilibrio.

 

°°°°°

 

Se dovessi sintetizzare il modo con cui Matteo Pellicone ha guidato la Federazione durante i miei mandati (prima credo abbia avuto anche delle difficoltà) centrerei l’attenzione su due modalità che hanno fatto la differenza. La prima modalità riguarda la scelta di Matteo Pellicone di governare per sintesi e non per strappi: cercava di raccogliere nella sintesi anche le esigenze più disparate. Chi ha vissuto questi anni sa che il mondo federale era spesso diviso e che nei territori c’erano degli scontri anche molto duri: eppure tutti erano a favore di Pellicone. La gestione attraverso la ricomposizione delle divisioni in Consiglio era un tratto così forte, che chi ha cercato di infrangerlo non ha retto. Quando voleva che qualcuno lasciasse una carica lo aiutava a trovare un nuovo ruolo. Tutto sotto gli occhi di tutti. C’erano settori della vita federale in cui voleva un mio coinvolgimento diretto, altri in cui preferiva avere la mia opinione solo in Consiglio.

 

La seconda modalità riguardava la sua grande tensione al presente, a quello che avveniva in quel momento, a quello che era possibile e necessario fare adesso. Pellicone aveva un grande rispetto per il passato e per la storia della federazione, ma prediligeva lo sguardo al futuro poggiato su un solido presente. Quando parlavo con lui ascoltava sempre con attenzione. Ad un certo punto cominciava a prendere appunti su foglietti e metteva i foglietti nella borsa marron. Capii subito la regola: se prendeva appunti quello che dicevo andava avanti, se non li prendeva avevo parlato per me. Tranne una volta in cui, senza pensarci, aveva preso uno dei foglietti con molte mie proposte e richieste, ci aveva schiacciato dentro un chewing gum e poi aveva buttato il piccolo involucro nel cestino. Allora restiamo d’accordo così,” mi aveva congedato. Ma col foglietto finito nel cestino col chewing gum dentro ho capito che su quegli argomenti era meglio riprendere da capo sei mesi dopo.

Il suo carattere era solare e ottimista, non cedeva davanti a niente e sapeva come trattare le persone. La sintonia con me e Capelletti è stata sempre altissima e quando mi ha richiamato per qualche errore che avevo compiuto o ha modificato qualcosa che era stata fatta su mia indicazione, mi ha sempre detto che la correzione era per opportunità, non per un mio errore. Un gentiluomo. La sua passione pe il presente e il suo sguardo per il futuro erano un tratto della sua gioia di vivere. I tre settori che hanno sempre costituito la nostra Federazione hanno permesso a Pellicone di lavorare con Consigli di settore molto piccoli e molto coesi, che hanno sempre preso tutte le decisioni in comune accordo (anche se qualche memoria fa affiorare divisioni che non ci sono mai state).

 

°°°°°

         La decisione sui Kata e i Master la prese in accordo con Capelletti e credo non fosse chissà che convinto che potesse venire fuori qualcosa di buono. Durante l’Assemblea del 2000 mi disse che dopo le elezioni avrei preso in mano quei due settori lasciando l’attività giovanile di cui mi ero occupato dal 1992. E mi disse: “Guarda che dalla Commissione con Takata in poi non siamo riusciti a mettere ordine alla cosa. Inoltre attento ai master, perché noi abbiamo sempre chiuso con l’agonismo a 35 anni.” Gli chiesi: “Ma ho carta bianca, bianchina, grigia?” Lui sorrise come faceva spesso, con quell’aria da ragazzo: “Bianchissima.

Così mi lanciai. Ricordo che dopo lo stage IJF di Roma sui Kata mi convinsi, su indicazione di Jean Luc Rougè, che era meglio azzerare tutto e ripartire da capo. Così convocai uno stage-esame con tecnici di tutta Italia per creare ex novo un gruppo di docenti federali. Molti arrivano a Roma convinti di poter spiegare i Kata, ma si trovarono davanti alla necessità di effettuare una esecuzione pratica davanti a me e al Maestro Sengoku e alla presenza dell’altro Consigliere Federale Gaetano Minissale. Accettarono in molti con grande umiltà (ricordo alcuni nomi di chi si sottopose alla prova senza dire nulla tra cui Sugiyama, Strazzeri, Comino, Erissini, Monica Piredda, Crema, Ferrante, Gobbi, Proietti, Cattaneo, ma ce n’era molti altri), ma a qualcuno la cosa non piacque. Ad un certo punto della mattinata arrivò in palestra il Vicepresidente Federale Ezio Evangelisti che mi disse: “Cosa stai facendo?” Io glielo spiegai e lui mi disse: “Chiamo il Presidente.” Ho avuto subito l’impressione che la mia carta bianchissima sarebbe diventa grigia. Ma non fu così: Evangelisti tornò dopo una decina di minuti di pausa e disse a voce altissima: “Buon lavoro a tutti, vi saluta il Presidente.” E sparì. La carta era rimasta bianchissima.

Pochi anni dopo pensai fosse necessario organizzare una gara nazionale di Kata e così misi in calendario il 1° Gran Premio Nazionale di Kata al Centro Olimpico. Pochi giorni prima della gara un collega consigliere mi telefonò dicendomi che non lo potevo fare perché non potevo organizzare una gara nazionale solo perché lo avevo scritto nel piano di lavoro dei Kata. Gli dissi di verificare con Pellicone e lui lo fece. E la gara si fece. La carta era sempre bianchissima. Mi sorprese molto, poi, Pellicone nel 2005 quando poco prima dei primi Campionati Europei di Kata a Londra mi telefonò e mi chiese: “Ma tu li sai fare questi Kata? Perché se li sai fare forse è bene che partecipi anche come atleta.” E così partecipai nel Nage No Kata in coppia con Elio Paparello.

La questione dei Kata e dei Master lo divertiva molto, tant’è che cominciò a scherzare sulla MiniFijlkam, la Federazione “gemella” presieduta da Stefanel. Lo diceva spesso a tavola e qualche volta faceva una battuta che piaceva a me e a lui, ma magari ad altri un po’ meno: “Stefano vieni a sederti vicino a me, perché due presidenti federali devono stare vicini.” La cosa interessante è che qualche buontempone ha creduto che la MiniFijlkam esistesse davvero e che attraverso quella io volessi conquistare tutta la Federazione. Purtroppo le imbecillità c’erano anche prima delle fake news.

 

°°°°°

 

Dal 1992 al 2006 ci siamo dati del lei. Poi, durante un Consiglio Federale, mi ha chiamato in disparte e mi ha detto. “Comincerei a darci del tu, visto che dobbiamo stare qua dentro insieme ancora molti anni”. E da quella volta abbiamo iniziato a darci del tu. Mi manchi Matteo. Ma io mi ricordo.