Un anno di azzurro
Il 2017 agonistico del judo italiano ha mostrato una tendenza nel complesso stabile se rapportata agli anni precedenti a quello olimpico. L’anno olimpico è stato eccezionale,ma non è chiaro se è stata solo un’eccezione (come Sidney 2000) o l’inizio di una tendenza.

Riporto di seguito un breve riassunto statistico del 2017 con riferimento alle sole manifestazioni che assegnano il titolo.

CADETTI
Gara    ATLETI IN GARA ORO ARGENTO BRONZO
CAMPIONATI EUROPEI 15 1 2 4
CAMPIONATI MONDIALI 15 / /2
EYOF 12 1/ /

JUNIORES
Gara ATLETI IN GARA ORO ARGENTO BRONZO
CAMPIONATI EUROPEI 24 / 1 2
CAMPIONATI MONDIALI 20 / / 1

UNDER 23
Gara ATLETI IN GARA ORO ARGENTO BRONZO
CAMPIONATI EUROPEI 15 / / 1

ASSOLUTI
Gara ATLETI IN GARA ORO ARGENTO BRONZO
CAMPIONATI EUROPEI 15 / / /

CAMPIONATI MONDIALI 8 / 1/
OPEN 1 / / /

Il dato numerico non dice molto sulle dinamiche messe in atto, ma fotografa una situazione dell’Italia abbastanza simile a quella precedente all’exploit dell’Olimpiade di Rio 2016. In quella Olimpiade si sono condensati alcuni fatti straordinari, che aiutano a leggere quanto è accaduto, ma non aiutano ad indicare quale sarà lo sbocco dell’attività agonistica nello Olimpiadi di Tokyo del 2020. Alcuni passaggi traumatici nella Direzione tecnica (passata da Raffaele Toniolo alla Commissione formata dal Presidente Falcone, dal Vicepresidente Capelletti e dal Consulente Kyoshi Murakami e quindi allo stesso Murakami nominato unico Direttore Tecnico) e tre qualificazioni conquistate con grandi prestazione negli ultimi sei mesi (Elios Manzi, Fabio Basile, Matteo Marconcini) costituiscono elementi di difficile confronto con esperienze del passato o con possibili progetti futuri. Se riandiamo al 2013 (primo anno dopo le Olimpiadi di Londra) troviamo gerarchie tecniche nella Nazionale maggiore sia riguardo agli atleti sia riguardo ai tecnici che sono state poi completamente stravolte da decisioni e fatti successivi.

Quindi non può esserci una lettura del 2017 della Nazionale di vertice in funzione dell’Olimpiade futura, ma solo come supporto del presente. Tutto questo si incrocia con i dati del Tornei che non sono un elemento di facile analisi, vista l’enorme disparità tecnica delle varie gare con alcune Europa Cup più competitive dei Continental Open, soprattutto di quelli extraeuropei. Ma anche con Gran Prix molto spesso di secondo livello rispetto ad altri. Anche tutte le altre Nazioni fanno oggi i conti con il lungo tempo che separa il 2017 dalle Olimpiadi, con i propri bilanci e anche con le possibilità reali dei singoli atleti. Molti atleti – soprattutto dei paesi dell’est europeo o di piccole nazioni – combattono oggi più per cercare di raggiungere i premi economici messi in palio nelle varie gare che per reale scelta tecnica in funzione dell’Olimpiade.

Il dato analitico comunque fa vedere la tendenza della Commissione Giovanile a coprire nelle gare di vertice tutti i posti disponibili e una tendenza della Direzione Tecnica Nazionale a portare in gara solo gli atleti che possono puntare al podio. Al di là dell’estemporanea, irrituale, molto pubblicizzata e poco convincente autoanalisi della Commissione giovanile dopo i Mondiali del Cile, resta il dato abbastanza poco leggibile riguardo al motivo per cui le squadre sono state così dilatate: se è per dare un riconoscimento ad atleti, tecnici e società private e quindi aumentare il consenso verso la politica federale di apertura o se è perché si ritiene realmente che aumentando le esperienze dei cadetti e degli juniores anche in gare al di sopra delle loro possibilità ci saranno buoni risultati in prospettiva olimpica.

L’impressione è che una parte dei cadetti e degli juniores portati alle manifestazioni ufficiali abbia raggiunto con questa partecipazione il massimo risultato possibile e quindi il tutto debba essere considerato come riconoscimento al grande lavoro dei club. Si è visto infatti che le seconde linee azzurre non riescono oggi ad essere competitive quando il livello della manifestazione è molto alto. E dunque comitive molto numerose di atleti e tecnici possono aumentare il consenso, ma non il livello tecnico reale.

Rimane inalterato il dato secondo cui l’Italia del judo ha molta più facilità a raggiungere le medaglie con i giovani rispetto alle altre classi di età. I giovani anche molto forti spesso faticano a mantenere quel trend quando crescono e si arruolano. Chi ha vissuto a lungo nel mondo del judo sa che un discorso molto presente, anche se da nessuno ufficializzato, è che le società civili ritengono di fare un ottimo lavoro che poi viene spesso alterato dai gruppi sportivi militari, mentre i gruppi sportivi militari ritengono che le società civili stiano lavorando bene solo sull’atleta “al grezzo”, producendo così ragazzi spesso molto forti, ma difficilmente in grado di scalare i gradini successivi del percorso sportivo. In questo momento molte società di vertice lavorano assieme ai gruppi sportivi militari in una sorta di commistione naturale che smussa di molto il rapporto un po’ conflittuale del passato.

Ma poiché il dato è molto significativo e interessante vale la pena di mettere da parte analisi che cerchino di addossare la colpa a qualcuno per cercare di capire il trend in atto e vedere in che modo leggerlo. Finché il sistema judoistico italiano rimane entro lo schema in cui è cresciuto negli ultimi cinquant’anni credo non ci sia nessuna possibilità di modificare stabilmente i risultati, che possono avere in alcune annate picchi in certi settori, ma che poi fanno ritornare il risultato complessivo alla sua situazione di partenza. Andrei quindi ad analizzare un dato che mi pare significativo nella sua uscita: se dalle gare maschili di Gran Prix Juniores/Seniores noi togliessimo gli juniores e gli atleti dei gruppo sportivi militari io credo rimarrebbe un numero di seniores molto vicino a quello dei master che partecipano al loro Gran Prix. La fascia 22 – 35 anni e quella 35- 65 anni presenta in campo maschile grossomodo un numero analogo di atleti al netto dei  rofessionisti. Questo è il dato da cui partire, perché questo dato ha reso ancora più netta la piramide su cui poggia tutto il judo con l’agonismo entusiasta degli esordienti che poi trascina una grossa fetta degli esordienti tra i cadetti con ambizioni molto alte (spesso troppo alte), ma che poi scema nel realismo degli juniores e si chiude nell’oggettiva amatorialità dei seniores non professionisti.

E’ la precocità dell’agonismo finalizzato al risultato che rende traumatico l’assottigliamento dei numeri degli atleti agonisti e quindi anche del bacino di possibilità che dalla folta schiera degli esordienti porta poi ai pochi seniores. L’elemento cardine dei risultati ottenuti in età giovanile è l’approdo ad un judo adulto, molto tattico e molto atletico, che difficilmente potrà trasmettersi nello stesso modo allorché l’atleta diventa juniores o seniores, cambia struttura fisica e spesso mentale. Inoltre un’impostazione connessa al peso dell’atleta e una preparazione che sfrutti al massimo la permanenza del giovane atleta nella categoria più bassa possibile conduce a risultati che dopo i 16 anni non sono più raggiungibili, qualunque sia l’impegno di quell’atleta e del suo tecnico.

La tendenza è visibile in questo momento da noi anche con il proliferare dei Tornei per atleti molto piccoli (2007/2008). Per il 2018 sono già arrivati molti inviti per gare per quegli atleti.
C’è poi una concentrazione notevole dell’attività giovanile soprattutto su Trofeo Italia, Gran Prix ed Europa Cup, in una sorta di Serie A collettiva del judo giovanile che ha quasi solo attività di vertice. Ritengo che questa tendenza non sia modificabile, ma andrebbe almeno regolamentata, perché carica spesso di illusioni il lavoro dei club e le aspettative delle famiglie. Il concetto di “atleta i alto livello” è molto variabile e nella sua accezione classica riguarda chi ottiene o ha ottenuto risultati a livello molto alto (Campionati Europei, Mondiali, Olimpiadi), ma nella sua accezione più rossima ai club riguarda anche gli atleti che sono riusciti ad avere buoni piazzamenti anche in campo nazionale.

C’è quindi in atto una tendenza per cui il movimento judoistico federale ragiona su una ventina di atleti di alto livello, i club nel loro complesso invece ragionano su oltre mille atleti di alto livello. Risorse e aspettative sono diverse e avrebbero bisogno di sbocchi diversi, ma l’organizzazione agonistica è invece quasi solo orientata in un senso solo.

Resterebbe da decidere – ma forse non sono questi i tempi delle decisioni – se la corsa verso le Olimpiadi vada guidata fin d’ora o si debba aumentare – anche rispetto allo scorso quadriennio – l’iniziativa singola appoggiandola laddove la si vede con qualche possibilità di successo. Posto che è difficile se non impossibile gestire un atleta di vertice al di fuori dei gruppi sportivi militari, diventa doppiamente difficile gestire una programmazione dove troppo ampio è lo spazio per atleti che non sono in grado di raggiungere risultati di alto livello e dunque vedono nella semplice partecipazione il raggiungimento del risultato ricercato. D’altro canto se la corsa è al risultato precoce forse è il caso di regolamentare in maniera chiara l’organizzazione delle manifestazioni agonistiche diventate di difficile gestione organizzativa, tecnica, oraria. E con prospettive economiche preoccupanti sia sul piano dell’organizzazione, sia su quello della partecipazione.
Se tutti ritengono di aver le capacità di partecipare alle Olimpiadi allora forse ènecessario stare attenti affinché il judo italiano non precipiti verso l’illusione di essere ciò che non è.

(Stefano Stefanel)
Udine, 18 dicembre 2017