di Stefano Stefanel

L’emergenza coronavirus sta aprendo delle preoccupanti voragini in due mondi che toccano in maniera esponenziale tutta la nostra vita civile: quello dello sport e quello della scuola. Sono due mondi che conosco bene e che sono alla base della mia vita sociale, in quanto sono un dirigente scolastico, ma sono anche un maestro di judo. È uscita in questi giorni un’intervista al maestro e amico (spero non me ne voglia) Gianni Maddaloni, probabilmente il tecnico di judo più conosciuto in Italia, che consiglio di ascoltare con attenzione. L’intervista è stata concessa da Maddaloni all’emittente campana Radio Amica e tocca vari punti interessanti e di forte impatto. Il passaggio saliente è quello in cui Maddaloni chiarisce come lo sport sia uno e le distanze uguali per tutti. E che dunque sia necessario ripartire avendo tutti la stessa cura e la stessa attenzione.  Trovate l’intervista al link:

https://ww.facebook.com/75904654108/videos/242609320443939/.

Non meno interessante è l’intervento dell’amico (spero anche lui non me ne voglia) e Vicepresidente del Comitato regionale della Campania Bruno D’Isanto, che mette l’accento sull’importanza di inserire tutto lo sport dentro un provvedimento generale a tutela di chi nello sport ha investito capitali umani, capitali tecnici, capitali formativi. Anche questa intervista è reperibile al seguente link:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=588045798477550&id=100018164057331.

I due esponenti del judo campano mettono in evidenza quella che è una drammaticità assoluta di questo momento e che può trasformarsi nella catastrofe del judo se non gestita in forma sinergica dal Coni e dalla Federazione. Questa drammaticità è il rapporto che l’Italia deve avere nei confronti di tutta la pratica sportiva e non solo verso una sua parte. Quindi è un problema che non riguarda solo il judo.

Tutti noi che facciamo judo sappiamo di fare uno sport di contatto e nessuno ha intenzione di sottovalutare questo dato di fatto durante un’emergenza sanitaria di questa portata. Quello su cui invece mi permetto di insistere, collegandomi con quanto detto da Maddaloni e D’Isanto, è che i tecnici e le palestre di judo sono in grado di svolgere la stessa attività sportiva di tutti gli altri sport. Con esercizi a distanza e con forme di allenamento senza contatto.

È sotto gli occhi di tutti come il mondo del calcio stia affrontando il problema e certamente non sta a me dare giudizi su questioni (anche economiche) di portata enorme. Ma l’approccio del calcio all’emergenza non può essere quello del judo. Qui non si tratta dell’agonismo, che riaprirà quando sarà possibile farlo e nelle modalità previste dalle istituzioni politiche, sanitarie e sportive. E non si tratta neppure di non far finta di non vedere che tennis, golf più, ad esempio, di salto in alto (cascano tutti sullo stesso materasso) o salto in lungo (cascano tutti sulla stessa sabbia) e più ancora degli sport di squadra sono diversi dal judo e potranno ritornare alle gare prima. Si tratta, invece, di distinguere l’attività sportiva di base per tutti e l’allenamento dalle gare sportive di ogni livello, dalla pratica agonistica sia in presenza di pubblico sia senza pubblico.

E’ necessario poter partire tutti insieme con attività a distanza in palestra, anche per bambini e con sessioni di allenamento con pochi partecipanti, magari suddivisi in piccoli gruppi controllati nelle distanze. Solo quando sarà possibile avere il via degli esperti sanitari potranno essere previste attività agonistiche, magari con una partenza attraverso piccole manifestazioni con pochi atleti e pochi tecnici presenti. Quello che certo resterà per sempre sarà una maggiore cura nella sanificazione degli ambienti, nell’igiene personale e nel divieto d’accesso in palestra in chi è in non buone condizioni fisiche, anche se ha solo un’influenza.

Il problema della riapertura dello sport oggi però non riguarda solo gli agonisti, ma tutto un sistema che ha negli agonisti la punta più evidente e delicata. La riapertura riguarda il mondo dei bambini e dei ragazzi, ma anche quello degli adulti. L’emergenza coronavirus ha ribaltato poi il concetto di anziano, fino a poco tempo fa invitato a muoversi, fare sport, fare attività, frequentare le palestre ed ora “quasi minacciato” se si muove da casa. Fino a febbraio a 80 anni non si era ancora anziani, oggi sembra che l’anzianità a 60 anni sia già conclamata. Credo che le parole dette pubblicamente da Federica Pellegrini e Fabio Basile in questa emergenza siano di grande valore e testimonino una grande preoccupazione.

Sono necessarie misura e sinergia: lo sport deve partire su basi comuni, con distanze accertate, dispositivi obbligatori, sanificazione quotidiana. Ma per tutti gli sport allo stesso modo. Quello che non si deve fare, e spero la nostra Federazione su questo sia molto vigile nel rapporto con il Coni e con le altre Federazioni, è distinguere lo sport in rapporto alla distanza necessaria a praticare l’agonismo. Il tennis con le gare potrà partire presto e lo faranno anche una parte dell’atletica, il golf, la pallavolo, ecc. Il judo lo farà più tardi. Ma nel frattempo è necessario valutare come ripartire. Tutti insieme con l’attenzione a quell’attività sportiva di base necessaria da quanto si è bambini a quando si diventa anziani.